Leggi e norme per esportare cibi italiani all’estero

Esportare cibi italiano all’esterno, nonostante la fama di cui godono i prodotti del Bel Paese, rappresenta sicuramente una sfida che richiede attenzione e cura dei dettagli. Infatti, l’azienda italiana che decide di intraprendere un’attività di export in un paese estero deve focalizzare il proprio interesse su diversi aspetti, quali quelli contrattuali, normativi e logistici.

Quale normativa regola l’export dei cibi italiani all’estero?

Prima di conoscere nel particolare la normativa che regola l’export dei cibi italiani all’estero, è necessario effettuare una distinzione tra l’attività di export in paesi membri dell’Unione Europea e paesi extra U.E. A seconda della tipologia di prodotti da esportare, l’azienda italiana che vende prodotti alimentari deve prestare attenzione al rispetto delle norme che tutelano l’igiene, la sicurezza e il diritto all’informazione alimentare. Si tratta di tre settori di massima importanza, le cui norme, di stringente rigidità, non possono essere assolutamente trasgredite.

Inoltre, le esportazioni verso i territori extra U.E. possono essere sottoposti a specifiche limitazioni, a logiche doganali difficilmente superabili, alla presentazioni di particolari certificazioni e autorizzazioni. Tuttavia, a prescindere dagli aspetti generali e da quelli afferenti alla legislazione particolare dei singoli paesi, ogni contratto di vendita per l’esportazione di prodotti alimentari è disciplinato dalla Convenzione di Vienna del 1980, che riguarda la vendita internazionale dei beni mobili.

Essa entra in gioco tutte le volte in cui è applicabile la legge italiana e l’acquirente si trovi in uno dei 78 stati aderenti alla convenzione, a patto che la sua applicabilità non si stata esclusa agli inizi delle trattative. La convenzione di Vienna, infatti, prevede che il venditore deve consegnare al compratore i prodotti alimentari della qualità, quantità e tipologia concordati nel contratto. Tuttavia, sarà compito dell’acquirente controllare l’adeguatezza dei prodotti alimentari alle norme del paese di destinazione. Massima importanza va rivolta anche alle etichette e all’imballaggio dei prodotti alimentari.

A tal proposito, dal 13 dicembre 2014 è entrato in vigore il Regolamento UE 1169/2011, che ha uniformato il diritto europeo in materia di prodotti alimentari, secondo il quale l’impresa che fa attività di export non dovrà più fare riferimento alla legislazione del singolo paese. Secondo il regolamento, l’indicazione del Paese di origine o del territorio di provenienza, oltre che della “denominazione di origine” dei prodotti alimentari deve essere menzionato in modo chiaro e visibile. In modo particolare, l’indicazione della “denominazione d’origine” può essere applicata solo qualora il paese di provenienza goda dell’iscrizione al particolare registro.

Inoltre, l’attività di esportazione dei prodotti alimentari all’estero dovrà rispettare le norme generali in materia di sicurezza alimentare e assicurare la tracciabilità del prodotto, oltre che degli ingredienti contenuto nello stesso. Sicuramente la norma più importante afferisce al cosiddetto “pacchetto igiene”; esso è disciplinato dai Regolamenti CE 852 – 853 – 854 /2004, che tutelano e assicurano l’igiene e la salubrità del prodotto in tutte gli stadi del processo di produzione, fino al suo consumo. I regolamenti citati, infatti, fanno riferimento anche ai principi del sistema HACCP, un insieme di procedure finalizzate alla protezione della salubrità del prodotto alimentare, basate sulla prevenzione.

Leggi e norme per esportare cibi italiani all’estero

Esportare cibi italiano all’esterno, nonostante la fama di cui godono i prodotti del Bel Paese, rappresenta sicuramente una sfida che richiede attenzione e cura dei dettagli. Infatti, l’azienda italiana che decide di intraprendere un’attività di export in un paese estero deve focalizzare il proprio interesse su diversi aspetti, quali quelli contrattuali, normativi e logistici.

Quale normativa regola l’export dei cibi italiani all’estero?

Prima di conoscere nel particolare la normativa che regola l’export dei cibi italiani all’estero, è necessario effettuare una distinzione tra l’attività di export in paesi membri dell’Unione Europea e paesi extra U.E. A seconda della tipologia di prodotti da esportare, l’azienda italiana che vende prodotti alimentari deve prestare attenzione al rispetto delle norme che tutelano l’igiene, la sicurezza e il diritto all’informazione alimentare. Si tratta di tre settori di massima importanza, le cui norme, di stringente rigidità, non possono essere assolutamente trasgredite.

Inoltre, le esportazioni verso i territori extra U.E. possono essere sottoposti a specifiche limitazioni, a logiche doganali difficilmente superabili, alla presentazioni di particolari certificazioni e autorizzazioni. Tuttavia, a prescindere dagli aspetti generali e da quelli afferenti alla legislazione particolare dei singoli paesi, ogni contratto di vendita per l’esportazione di prodotti alimentari è disciplinato dalla Convenzione di Vienna del 1980, che riguarda la vendita internazionale dei beni mobili.

Essa entra in gioco tutte le volte in cui è applicabile la legge italiana e l’acquirente si trovi in uno dei 78 stati aderenti alla convenzione, a patto che la sua applicabilità non si stata esclusa agli inizi delle trattative. La convenzione di Vienna, infatti, prevede che il venditore deve consegnare al compratore i prodotti alimentari della qualità, quantità e tipologia concordati nel contratto. Tuttavia, sarà compito dell’acquirente controllare l’adeguatezza dei prodotti alimentari alle norme del paese di destinazione. Massima importanza va rivolta anche alle etichette e all’imballaggio dei prodotti alimentari.

A tal proposito, dal 13 dicembre 2014 è entrato in vigore il Regolamento UE 1169/2011, che ha uniformato il diritto europeo in materia di prodotti alimentari, secondo il quale l’impresa che fa attività di export non dovrà più fare riferimento alla legislazione del singolo paese. Secondo il regolamento, l’indicazione del Paese di origine o del territorio di provenienza, oltre che della “denominazione di origine” dei prodotti alimentari deve essere menzionato in modo chiaro e visibile. In modo particolare, l’indicazione della “denominazione d’origine” può essere applicata solo qualora il paese di provenienza goda dell’iscrizione al particolare registro.

Inoltre, l’attività di esportazione dei prodotti alimentari all’estero dovrà rispettare le norme generali in materia di sicurezza alimentare e assicurare la tracciabilità del prodotto, oltre che degli ingredienti contenuto nello stesso. Sicuramente la norma più importante afferisce al cosiddetto “pacchetto igiene”; esso è disciplinato dai Regolamenti CE 852 – 853 – 854 /2004, che tutelano e assicurano l’igiene e la salubrità del prodotto in tutte gli stadi del processo di produzione, fino al suo consumo. I regolamenti citati, infatti, fanno riferimento anche ai principi del sistema HACCP, un insieme di procedure finalizzate alla protezione della salubrità del prodotto alimentare, basate sulla prevenzione.